“ Un boccale di birra?” “ Si grazie, voglio fare la mia parte per salvare il mondo”, questa dichiarazione apparentemente esagerata nasconde invece una incontestabile verità. Carlsberg Italia che oggi produce e commercializza oltre 1,3 milioni di ettolitri di birra all'anno con vari marchi ( Carlsberg, Tuborg, Birrificio Angelo Poretti, Kronebourg, Grimberger, Feldschlosschen, Brooklyn Brewery e Jacobsen) ha recentemente presentato il suo bilancio di sostenibilità, come fa ormai dal 2011, dove saltano agli occhi dati importanti sulla scelta di tutela dell'ambiente dell'azienda. I numeri del 2016 sono incoraggianti: -18% il consumo di acqua durante la produzione; riduzione di 11 mln di kg di CO2 con il nuovo sistema di spillatura DraughMaster; l'88% della birra in fusto è distribuita in PET.
Divertente ed esplicativa la traduzione visiva e concreta di questi numeri : L'acqua risparmiata è pari a quella contenuta in 39 piscine olimpiche o in 18.54 canadair o in quasi 2 milioni di bucati da 5 kg. L'uso dei fusti in PET, a spillatura esente da CO2, invece di quelli in acciaio, ha fatto risparmiare anidride carbonica tanta quanta ne assorbirebbero in un anno 424.300 alberi che sono veramente tanti ( riuscirebbero a ricoprire ben 1.443 campi di calcio). Con questa innovazione Carlsberg Italia ha ottenuto la certificazione ambientale EPD (Environmental Product Declaratio) per le sue birre, prima azienda birraia al mondo. Le strategie per ottenere questi risultati li ha spiegati Alberto Frausin amministratore delegato di Carlsberg Italia “ Gestire una priorità richiede idee innovative, determinazione e rapidità di intervento. L'importante diminuzione dei consumi di acqua è stata raggiunta grazie al ritmo più serrato dei monitoraggi ordinari, passati da mensili a settimanali. Questo ha permesso di individuare eventuali perdite o malfuzionamenti e consentito interventi tempestivi”. Non meno importante il costante controllo delle due fonti d'acqua sorgiva di Induno Olona (Va) che si realizza con l'ispezione mensile dell' alveo del fiume e con la manutenzione della diga a monte dello stabilimento, eliminando i detriti. Sempre nell'ottica della sostenibilità sono state rimesse in esercizio parti del vecchio impianto di depurazione delle acque per restituirle all'ambiente con una qualità molto vicina a quella prelevata. Sul problema rifiuti aziendali, oramai il 100% dei rifiuti prodotti in stabilimento è stato destinato al recupero. Non è tutto qua l'impegno sul fronte ambiente, in primo piano anche la salute e la sicurezza dei dipendenti, sempre più coinvolti in tutte la fasi di prevenzione. Aumentati gli audit dei diversi reparti, introduzione del Tag Rosso un cartellino che i dipendenti posizionano nei punti a rischio o potenzialmente pericolosi. Infine grande attenzione anche al consumatore finale con sensibilizzazione al consumo responsabile e moderato della birra. Istituiti gli Open Day, 2500 nel 2016, con accesso agli stabilimenti, dei visitatori che vengono guidati dai dipendenti in attività di consumo responsabile. Don't Drink & Drive è il simbolo che compare sulle etichette di tutte le loro birre. E l'ultima chicca una tovaglietta di carta per il pranzo che riassume in modo divertente tutti i numeri del bilancio di sostenibilità. Autori i Giornalisti nell'Erba che hanno trasformato i freddi numeri in un gioco dell'oca che spiega i punti salienti della tutela dell'ambiente della birra che stanno sorseggiando. Buona birra a tutti e si contribuirà a migliorare la nostra amata Terra. Nicoletta Morabito
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Inaugurato il 3 ottobre il Wood*Ing Bar in zona Isola. Qui i cocktail sono a base di ingredienti selvatici raccolti nei boschi accompagnati da tapas sempre “selvatiche”. Ambiente volutamente rustico, ma accogliente. Il 16 ottobre si festeggia in tutto il mondo la Giornata mondiale dell’alimentazione per ricordare la nascita, nel 1945, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). Lo slogan di quest'anno è “Cambiamo il futuro delle migrazioni. Investiamo nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale”. In linea con l'obiettivo primario della FAO : lotta contro la fame e garanzia a ciascuno di cibo sufficiente per condurre una vita sana e attiva. Per questo una iniziativa come quella di un bar endemico, che significa offrire cibi e bevande di origine selvatica raccolte in una determinata zona, parte proprio dal concetto di recuperare fonti alimentari ormai dimenticate o sconosciute che potrebbero diventare nuove risorse nutrizionali. Si chiama Wood*Ing Bar, è stato aperto da pochi giorni a Milano e può vantarsi di essere unico al mondo per la tipologia di offerta di cocktail e cibo. Le materie prime utilizzate sono infatti, per la maggior parte, di origine selvatica, cioè raccolti nei boschi in alta montagna o in mare, sempre in zone rigorosamente incontaminate. Il bar in realtà è solo l'ultima iniziativa di Wood*Ing Food Lab, laboratorio per la ricerca, lo studio e la sperimentazione del cibo selvatico per l'alimentazione umana fondato da Valeria Margherita Mosca nel 2010. E chi meglio di Valeria ci può raccontare di questo bar unico al mondo e delle sue origini? Da dove nasce l'idea del laboratorio di ricerca e del bar endemico? Da una semplice riflessione: il cibo selvatico, disponibile negli ecosistemi di tutto il mondo è un’importante risorsa alimentare e culturale esistente a impatto quasi nullo sul pianeta. Perché non provare a recuperare questa inesauribile fonte nutritiva, analizzandola e verificando la sua commestibilità? Il punto di partenza è il concetto di “Foraging” ovvero l'attività di esplorare aree naturali incontaminate alla ricerca di vegetali selvatici o parte di essi, molluschi di mare e terra o insetti adatti al nutrimento umano. Partendo dall'alta montagna fino ad arrivare al mare. Questa attività non è nuova, fino all '800 era praticata normalmente, soprattutto in periodi di carestia. Recuperarla non è solo un atto di nostalgia, ma una necessità per diverse valide ragioni. Il cibo selvatico è gratuito, ha in genere un contenuto nutrizionale superiore ai prodotti coltivati, ci obbliga a usare l'ambiente come una risorsa diretta e quindi ci stimola al rispetto più totale e ci obbliga a una maggiore conoscenza della natura che ci circonda. Per questo è nato il nostro laboratorio, per studiare, raccogliere, catalogare, analizzare e sperimentare vegetali selvatici o parti di essi ritenuti commestibili per gli uomini, il loro utilizzo con eventuale elaborazione e trasformazione e la loro conservazione. Il bar, ultimo anello della catena, serve a far conoscere la nostra filosofia invogliando alla conoscenza di nuovi sapori e nuovi accostamenti di cibi selvatici attraverso il rito dell'aperitivo, che si può trasformare anche in una cena grazie alla food list composta da 12 piatti accompagnata dalla drik list il tutto assolutanete wild. Oltre alla ricerca avete altre attività importanti derivanti dal lavoro di ricerca? Certamente ci occupiamo di formazione professionale con la prima foraging academy internazionale e amatoriale con corsi di cucina selvatica, corsi di foraging, di conservazione e fermentazione degli alimenti, consulenze professionali nel settore alimentare e cosmetico, attività divulgative di degustazione legate sia alla gastronomia che alla miscelazione. Ed è proprio lo studio della miscelazione con protagonisti erbe, radici, cactus, alghe, licheni, cortecce di albero che ci ha portato a ideare drink fuori dall'ordinario come le bevande fermentate probiotiche. I nostri drink non sono preparati al banco, che in realtà non esiste nemmeno, ma nel laboratorio/cucina adiacente alla sala. Quali sono i cibi più particolari che avete recuperato in Italia e in giro per il mondo e che oggi offrite nel vostro bar?
Primi fra tutti i licheni, ne esistono 4.000 specie e sono una fonte importante di fibre, proteine, vitamine, carboidrati, calcio e fosforo. Non si possono mangiare appena raccolti, ma necessitano di una elaborazione per essere commestibili. Una volta eliminata la loro acidità, si possono preparare in vari modi, mescolati ad altri ingredienti e cucinati, oppure essicati e aggiunti alla farina per fare il pane, che noi offriamo sotto forma di bruschetta gratuitamente agli ospiti del bar in connubio con acqua aromatizzata con rametti abete rosso. Nelle isole Faroe (Danimarca) che si trovano a Nord del Regno Unito abbiamo trovato una alga, Ocean Truffle, che ha il sapore del tartufo bianco. In Italia abbiamo recuperato e utilizzato un fungo in genere snobbato, l'Orecchio di Giuda che cresce sulla corteccia degli alberi e che invece è commestibile e saporito. Un altra scoperta è stata la corteccia interna di alcuni alberi che è perfettamente commestibile non contenendo cellulosa, va essicata, macinata a farina e usata negli impasti da forno. Anche le foglie di molti alberi possono essere fonte di nutrimento, in particolare i sempreverdi come abete rosso e larice. Si ottengono ottimi infusi con acqua calda ricchi di vitamina C in sostituzione del classico tè. Durante l'intervista abbiamo assaggiato queste specialità: Cipolle selvatiche, fico d'india, carassio affumicato ( pesce rosso d'acqua dolce), erba noce e pane ai licheni. Latte di capra, funghi di latifoglie, uova di quaglia e foglie di faggio. Il tutto accompagnato da un cocktail di Rum, Amaro Braulio, sciroppo di Sambuco e un bocciolo di rosa. Una esperienza inusuale, ma ricca di piacevoli sorprese organolettiche. Da ripetere per scoprire altri sapori selvatici. Wood*Ing Bar via Garigliano 8 Milano www.woodingbar.com www.wood-ing.org Nicoletta Morabito Tre cantine che puntano alla qualità e alla valorizzazione del loro territorio che si trova in provincia di Piacenza. A un’ora di macchina da Milano una zona vocata ai vigneti con vitigni autoctoni di pregio La Valtidone è tutta da scoprire, morbide colline che ricordano la Toscana, frutteti, boschi, castelli e borghi antichi che meritano una visita, il tutto abbellito da grandi distese di vigneti di forte impatto visivo. La viticoltura qui ha storia antica, ma ora tira aria di rinnovamento enologico con la ricerca e la creazioni di vini degni di competere con i migliori per inserirsi non solo nel mercato italiano di alta gamma, ma anche in quello estero. Paladini di questa voglia di innovazione sono diverse cantine della Valtidone tra cui Torre Fornello a Fornello di Ziano Piacentino, Santa Giustina ad Arcello di Pianello Val Tidone e Mossi 1558 di Albareto di Ziano Piacentino. Sono realtà territoriali ed enologiche molto diverse tra loro, ma in comune hanno l’obbiettivo di fare vini di qualità valorizzando le uve autoctone come il bianco Ortrugo , la Malvasia di Candia aromatica, la Barbera e la Croatina (localmente detta Bonarda) che sono alla base del rosso Gutturnio. Inoltre si vogliono lanciare nell’avventura dell’accoglienza per dare ancora più valore a questo bel territorio. Torre Fornello L’azienda Torre Fornello fondata nel 1998 da Enrico Sgorbati, che ne è l’anima appassionata, si estende per 60 ettari e oggi è la più grande realtà vitata privata del Piacentino. La gestione delle vigne procede con i principi della lotta biologica, con inerbimento controllato e potature molto corte . La cantina è dotata di apparecchiature nuovissime e tecnologicamente avanzate che permettono la realizzazione di vini con una percentuale di anidride solforosa ancora più bassa del disciplinare biologico. Seguire la tradizione e inoltrarsi nell’innovazione ha permesso a Enrico Sgorbati di ottenere vini di grande fascino e qualità con una caratteristica spiccata di sapidità e mineralità. Torre Fornello produce 300.000 bottiglia all’anno e tutti i 20 vini di Enrico sono particolari, con una personalità spiccata e di alta qualità tanto che tre dei suoi vini, un bianco frizzante, un rosato e un rosso sono etichettati con il marchio di Gualtiero Marchesi che li propone nel suo ristorante milanese “Il Marchesino” in piazza della Scala. Enrico può vantare anche un vino bianco fermo “Una” ottenuto fa una selezione di uve Malvasia di Candia aromatica di un piccolo vigneto dal microclima particolare, con vendemmia tardiva. La rivista Wine Spector lo ha inserito tra i migliori 90 vini al mondo. Santa Giustina Santa Giustina prende il nome dall’omonimo borgo sulle colline sopra Pianello Val Tidone, con un panorama da mozzare il fiato. Gestisce la cantina e il vigneto da 22 ettari la giovane Gaia Bucciarelli. La proprietà in realtà si estende per 120 ettari con altre colture e bosco. Le vigne sono all’interno di una riserva faunistico-venatoria di 800 ettari amministrata dalla stessa famiglia Bucciarelli, dove trovano casa lupi, aquile, caprioli, cinghiali, ma soprattutto piccola selvaggina. La prima vendemmia è del 2004 e ora la produzione si attesta sulle 100.000 bottiglie. La colonna portante di tutta l’azienda è il legame con la natura , un “ cerchio della vita” come lo definisce Gaia, tutto è collegato da un filo invisibile tracciato da madre natura, le vinacce per esempio diventano nutrimento per la selvaggina e i 4 ettari coltivati a lavanda sono cibo per le api. Il rispetto per l’ambiente è una costante e in vigna si seguono i principi della lotta integrata, senza ricorrere a trattamenti chimici. La prima vendemmia a marchio Santa Giustina risale al 2004 da vitgni tipici del luogo come Ortrugo, Malvasia, Barbera, Croatina. Ne segnaliamo uno su tutti Villa Soldati un bled di Barbera e Croatina con qualche aggiunta segreta che rappresenta lo spirito sperimentale della famiglia Bucciarelli. Il borgo così antico e caratterstico è diventato una location incantevole per wedding e cerimonie. Mossi 1558
La data la dice lunga sulla storia di questa azienda passata di padre in figlio per 500 anni, ma nel 2014 è stata acquistata da una giovane coppia milanese Silvia Mandini e Marco Profumo che prima si occupavano tutt’altro, ma hanno deciso di fare il grande salto e di avventurarsi nel mondo del vino. Silvia e Marco si stanno facendo le ossa , imparando il mestiere e studiando come diventare bravi vinificatori, una idea di partenza è però chiara : utilizzare l’immagime del marchio Mossi, personalizzandolo e raffozandolo senza snaturarne il passato. La produzione è suddivisa tra Grande distribuzione (400 mila bottiglie) e Horeca (100 mila), con l’obiettivo di aumentare la quota dei vini alto livello. L’impegno si è concentrato sulla Malvasia Rosa vino unico nel suo genere ottenuto da uve con una mutazione genetica naturale, da cui hanno ottenuto 400 bottiglie e prossimamente in vista anche uno spumante rosè. Altra sfida la valorizzazione dell’Ortrugo, che l’azienda produce in purezza in versione ferma, frizzante e bollicina da Metodo Charmat. Non dimentichiamo la produzione di Gutturnio tipico della zona che viene proposto in versione frizzante e si chiama Fox Trot, Prossimo progetto una struttura di accoglienza polifunzionale ricavata dalla ristrutturazione della villa padronale. Nicoletta Morabito giornalista Un borgo intero trasformato in orto pubblico gestito dalla popolazione. Una lezione di sostenibilità e di aggregazione sociale.
Fare la spesa di frutta e verdura gratuitamente cogliendo pomodori, fagiolini, zucchine, frutti di bosco o patate direttamente dalle piante, mentre si passeggia per le vie di una cittadina sembrerebbe un sogno impossibile eppure a Todmorden, un borgo di circa 15.000 persone nel West Yorkshire, in Inghilterra, il sogno è diventato realtà. Tutto è cominciato nel 2008 quando Pamela Warhurst decise di aprire i cancelli del suo orto, visto che veniva regolarmente visitato da ladruncoli affamati e di mettere a disposizione dei concittadini i suoi prodotti ortofrutticoli senza chiedere nulla in cambio. L’idea è subito piaciuta e a Pamela si è affiancata l’amica Mary Clear, insieme hanno convinto molti abitanti di Todmorden a trasformare i loro giardini, le terrazze, i balconi e i terreni abbandonati in orti e frutteti rigorosamente a coltura biologica. Anche l’amministrazione locale ha accolto questa sfida e ha messo a disposizione terreni comunali e altri spazi pubblici .Adesso ogni angolo utile della città è coltivato, perfino lungo i bordi del cimitero, davanti alle chiese o alla stazione ferroviaria, nei parcheggi dei supermercati, di fronte all’ospedale e chiunque può raccogliere frutta e verdura di ottima qualità. Dove non c’era terra disponibile sono stati costruiti grandi vasconi con legna recuperata da case diroccate, così anche lungo i marciapiedi si può fare la spesa. Todmorden è diventata così “Incredible edible” , in pratica una città commestibile. Una trasformazione radicale e di successo che ha visto calare considerevolmente gli atti vandalici e sta coinvolgendo tutti i cittadini in altre iniziative collegate al progetto, tanto che la città si è posta l’obbiettivo di arrivare all’autosufficienza vegetale entro il 2018. “Siamo persone appassionate che lavorano insieme per un mondo in cui tutti potranno condividere la responsabilità del benessere del nostro futuro e del nostro pianeta – spiegano sul loro sito – Cerchiamo di permettere l’accesso al buon cibo locale per tutti, lavorando insieme e supportando le imprese locali”. Ci sono gruppi di persone incaricate di coltivare, altri di insegnare i segreti del giardinaggio, altri ancora raccolgono e cucinano i prodotti in occasioni di feste e banchetti. Nel frattempo da cosa nasce cosa e sono sorti altri progetti in nome della sostenibilità e della aggregazione sociale: corsi scolastici per insegnare ai bambini a riconoscere le piante e i frutti e a coltivarli, corsi di cucina aperti a tutti, lezioni di giardinaggio e di educazione alimentare. Interessanti anche due nuove idee: “Every Eggs Matters” ovvero “ogni uovo è importante” che incoraggia alla produzione locale, e quello che sostiene e supporta l’apicoltura. “Todmorden Incredible Edible” ha avuto un gran successo tanto da diffondersi in altre zone d’Inghilterra e precisamente in 21 comuni, ma anche in Francia, in Germania, in Spagna, in Canada e addirittura a Cuba e a Hong Kong. Chissà se un giorno questa “impresa verde” arriverà anche in Italia? Sperare non costa nulla. Nicoletta Morabito |
NICOLETTA MORABITO
Il cibo è la mia passione segreta ARCHIVIO
Giugno 2018
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